Presentati al 52° Congresso della European Association for the Study of Diabetes (EASD), i nuovi dati dello studio LEADER sulla progressione del danno renale. Negli adulti con diabete tipo 2 a elevato rischio cardiovascolare, l’antidiabetico liraglutide, analogo del GLP-1 umano, ha ridotto in maniera statisticamente significativa, del 22% rispetto al placebo, la comparsa o il peggioramento di danni renali[1].
La nefropatia diabetica, e le conseguenti malattie renali che possono portare a insufficienza renale, dialisi e necessità di trapianto del rene, è molto frequente. “Colpisce quasi il 40% delle persone con diabete”, ha spiegato Johannes Mann, sperimentatore dello studio LEADER e professore di Medicina presso il Dipartimento di nefrologia e ipertensione dell’Università di Erlangen-Nuremberg, Germania. I maschi con diabete tipo 2 corrono un rischio sei volte maggiore, rispetto ai non diabetici, di sviluppare questa condizione, che rappresenta anche un significativo fattore di rischio per le malattie cardiovascolari.
“I risultati dello studio leader hanno una notevole rilevanza clinica – ha aggiunto Mann – poiché mostrano il potenziale di liraglutide nel ridurre il rischio di malattie renali negli adulti con diabete tipo 2 ad alto rischio cardiovascolare.”
La riduzione del rischio complessivo è stata principalmente prodotta dalla riduzione della comparsa di macroalbuminuria persistente (ossia di elevati livelli di una proteina chiamata albumina nelle urine), che si è verificata con una frequenza significativamente inferiore (-26%) nei pazienti in cura con liraglutide rispetto al placebo[1].
Lo studio LEADER, multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, ha valutato gli effetti a lungo termine (3,5 – 5 anni) di liraglutide (al dosaggio fino a 1,8 mg) rispetto a placebo, entrambi aggiunti alla terapia standard, in persone con diabete tipo 2 ad alto rischio di eventi cardiovascolari maggiori[2]. La terapia standard prevedeva modifiche allo stile di vita, trattamenti ipoglicemizzanti e farmaci cardiovascolari[3]. Avviato a settembre 2010, ha coinvolto 9.340 pazienti provenienti da 32 paesi.
L’endpoint composito primario era costituito dall’insorgenza del primo evento cardiovascolare (morte per cause cardiovascolari o infarto miocardico non fatale o ictus non fatale)[3], risultato ridotto del 13%, su un follow up mediano di 3,8 anni, con liraglutide rispetto al placebo. Liraglutide, inoltre, ha diminuito, rispetto al placebo, del 22%, e in maniera statisticamente significativa, il rischio di morte per cause cardiovascolari e prodotto, inoltre, riduzioni non significative di infarto miocardico e ictus non fatali[2].
La quota di pazienti in cui si sono verificati effetti collaterali è risultata simile tra i gruppi trattati con liraglutide e placebo (62,3% e 60,8% rispettivamente). I più comuni, che hanno condotto all’interruzione della terapia con liraglutide, sono stati di natura gastrointestinale. L’incidenza di pancreatiti è stata inferiore, anche se non significativamente, nel gruppo trattato con liraglutide rispetto al placebo[2].