Le patologie dei vasi arteriosi del nostro corpo possono essere divise in patologie ostruttive e dilatative. L’ostruzione di un’arteria del nostro corpo può essere all’origine di un attacco di cuore se parliamo di una coronaria oppure all’origine di un ICTUS, se parliamo di una carotide.
La dilatazione di un’arteria porta alla formazione di un aneurisma che fissurandosi può portare a rottura del vaso e conseguente morte per emorragia interna. Le patologie vascolari, è bene ricordare, rappresentano una delle principali cause di morte nei paesi occidentali. Sia le patologie ostruttive, sia le dilatative possono essere curate con un approccio endovascolare, approccio che unisce la miniinvasività all’efficacia.
Patologia carotidea
L’impianto di stent e la chirurgia di by-pass sono due opzioni di trattamento che trovano largo impiego nella risoluzione di problemi di ostruzione arteriosa. Gli stent sono dei tubicini espandibili con una struttura a rete utilizzati per mantenere le arterie pervie.
La chirurgia di by-pass consiste invece nel reincanalamento del flusso sanguigno in corrispondenza di un’ostruzione per mezzo di una sezione di arteria sana reperita da un altro tratto del sistema cardio-circolatorio. Indipendentemente dal fatto che si esegua un impianto di stent o un intervento chirurgico di by-pass, il trattamento della stenosi carotidea mira a ripristinare il flusso sanguigno all’interno di un’arteria ostruita entro valori prossimi alla norma. Entrambe le opzioni richiedono procedure specializzate e dispositivi specifici.
La procedura di impianto di stent
Come in una qualsiasi angioplastica, lo stent è montato su un palloncino che viene espanso all’interno dell’arteria carotide per comprimere la placca e ripristinare il flusso sanguigno. Dopo avere compresso la placca contro la parete del vaso, lo stent viene portato alla massima espansione all’interno dell’arteria, dove si comporterà come un'”impalcatura” in miniatura. Il palloncino viene quindi sgonfiato e rimosso, lasciando però lo stent in sede affinché il vaso rimanga pervio. Per alcuni pazienti può essere necessario posizionare più di uno stent in funzione della lunghezza del tratto interessato dall’ostruzione.
L’impianto di stent presenta un vantaggio rispetto alla sola angioplastica, in quanto gli stent forniscono un supporto strutturale permanente che riduce le eventualità di un rirestringimento dell’arteria trattata (fenomeno noto anche come restenosi), pur non potendo impedire del tutto il suo verificarsi. In alcuni rari casi, l’utilizzo di stent può dare luogo alla cosiddetta trombosi da stent, termine con il quale si definisce la formazione di un coagulo di sangue in seguito all’impianto di stent. In una piccola percentuale di pazienti con stent, la viscosità del sangue può aumentare favorendo l’aggregazione di cellule ematiche e la conseguente formazione di minute masse, o coaguli. Tali coaguli possono bloccare il flusso del sangue all’interno dell’arteria e causare un infarto del tessuto da lei irrorato (infarto cerebrale).
Per evitare spiacevoli complicanze è fondamentale seguire le raccomandazioni del cardiologo assumendo per un determinato periodo di tempo una terapia orale a base di due farmaci ad azione antipiastrinica; si tratta dell’acido acetilsalicilico e del clopidogrel (o ticlopidina). Altrettanto importante è non sospendere l’assunzione dei farmaci di propria iniziativa.
L’impianto di stent, come l’angioplastica, rappresenta un’alternativa minimamente invasiva all’intervento chirurgico, dal quale si distingue per il minore rischio di complicazioni. I pazienti in genere vengono dimessi dall’ospedale il giorno successivo, con tempi di recupero notevolmente inferiori rispetto a quelli attesi per l’opzione chirurgica. Dopo l’impianto di stent, i pazienti nella maggior parte dei casi possono tornare rapidamente alle loro normali occupazioni. Il procedimento per il trattamento di un’ostruzione in qualsiasi arteria in qualsiasi distretto non si discosta enormemente dalla metodica applicata sulle coronarie (Angioplastica Coronarica), così, seguendo la stessa tecnica vengono trattate anche le ostruzione di arterie carotidi, ma anche delle arterie femorali, le arterie renali, ecc.
Angioplastica carotidea
Il trattamento endovascolare delle carotidi è a tutt’oggi una valida alternativa al classico intervento chirurgico di tromboendoaterectomia (TEA) e, se eseguito in centri ad alto volume da un operatore esperto, porta agli stessi risultati con meno invasività e la stessa percentuale di complicanze.
Nel trattamento chirurgico standard viene eseguita un’incisione chirurgica sul collo all’altezza della carotide e quindi questa viene “ripulita” dal chirurgo. Questo intervento viene prevalentemente eseguito in anestesia generale.
Il trattamento endovascolare consiste nel raggiungere dall’interno (attraverso un piccolo foro a livello dell’arteria femorale), con l’ausilio di appositi cateteri, la carotide, visualizzare il restringimento e trattarlo.
Durante queste delicate manovre vi è il rischio che piccoli frammenti si stacchino dalla placca e vadano ad occludere i vasi cerebrali periferici determinando danni ischemici. Per evitare questo rischio, si usano delle particolari precauzioni che mirano a proteggere l’encefalo. Può essere posizionato un filtro distale oppure può essere eseguito un clampaggio dell’arteria dall’interno, entrambi questi sistemi di protezione sono validi ed efficaci e vengono scelti in base alle caratteristiche specifiche della lesione.
A questo punto viene posizionato uno stent a livello della lesione carotidea e viene eseguita una dilatazione al suo interno con un palloncino per permettere una buona apposizione alla parete del vaso. In questo modo si riottiene il diametro interno originario della carotide, permettendo al sangue di raggiungere nuovamente con facilità il parenchima cerebrale.
Giunti a questo punto si chiude il filtro e lo si ritira, potendo osservare quanto materiale abbia trattenuto. Rimosso il piccolo tubicino dalla gamba il paziente potrà tornare a casa il giorno seguente.
Le complicanze legate a questa procedura sono le stesse che si possono verificare con l’intervento chirurgico classico di TEA, ossia la possibilità in rari casi di accidenti cerebrovascolari durante la procedura stessa.