Secondo le linee guida della Società Europea di Cardiologia, i valori normali della pressione arteriosa (la forza che il sangue esercita sulla parete dei vasi sanguigni, principalmente generata dalla forza di contrazione del cuore) sono fino a 129 mmHg per la pressione massima (pressione sistolica) e fino a 89 mmHg per la minima (pressione diastolica). Si parla invece di ipertensione arteriosa, quando la pressione arteriosa sistolica è superiore a 140 mm Hg e/o quella diastolica superiore a 90 mm Hg. Oggi parliamo anche di pressione arteriosa ottimale che è considerata quando la massima è < 120 mmHg e la minima < 80 mmHg. Più aumenta la pressione sistolica e/o quella diastolica, più alto è il rischio (rischio cardiovascolare) di contrarre complicanze come ictus, disfunzione renale, scompenso cardiaco o malattia a livello delle arterie (infarto del miocardio, arteriopatia ostruttiva a livello delle carotidi o degli arti inferiori). Il rischio cardiovascolare si raddoppia per ogni 20 mmHg di aumento della pressione sistolica o 10 mmHg di aumento della pressione diastolica.
Durante la notte la pressione arteriosa si abbassa di circa 10%-20% rispetto ai valori riscontrati nel periodo di veglia. I soggetti che non presentano questo atteggiamento della pressione durante la notte presentano un rischio cardiovascolare aumentato.
L’ipertensione “da camice bianco” (“white coat hypertension” degli Autori americani) è stata considerata per molto tempo come “benigna”, come una reazione innocua del nostro organismo alla presenza del medico che ci misura la pressione. Oggi sappiamo che questo comportamento della pressione arteriosa è spesso complicata da ispessimento del muscolo cardiaco (ipertrofia del ventricolo sinistro), da malattia arteriosclerotica delle arterie carotidi e generalmente parlando presenta un più alto rischio di presentare malattie cardiovascolari (morbilità cardiovascolare). Sappiamo anche che molti di questi soggetti sviluppano nel tempo, ipertensione arteriosa sostenuta.
Cause
Le cause dell’ipertensione possono scaturire da molteplici fattori. Nella stragrande maggioranza degli ipertesi (80%-95% dei casi) non è possibile riscontrare una causa vera e propria che si esprime con ipertensione ed l’ipertensione in questi casi viene pertanto definita ipertensione essenziale (conosciuta anche come idiopatica o primitiva). Alcune ricerche hanno consentito però di individuare nelle persone affette da ipertensione essenziale un insieme di anomalie che potrebbero essere alla base dello stato ipertensivo, come l’alterazione a carico del sistema nervoso simpatico, un ipotetico fattore genetico, il sovrappeso, l’uso dell’alcool, lo stress, ecc.
In un piccolo numero di pazienti (5%-20% circa) l’ipertensione rappresenta, invece, il sintomo di un’altra malattia. In questo caso si parlerà di ipertensione secondaria. Le malattie che possono aumentare la pressione arteriosa sono principalmente quelle legate a malfunzionamento dei reni e anomala produzione di ormoni da parte delle ghiandole surrenali e della tiroide (ipertiroidismo, iperaldosteronismo primario, sindrome di Cushing, feocromocitoma). Altre malattie spesso associate ad ipertensione arteriosa sono l’apnea notturna di tipo ostruttivo, la stenosi dell’arteria renale, la coartazione dell’aorta e l’insufficienza della valvola aortica.
Sintomi
Nella maggior parte dei casi, l’ipertensione arteriosa è asintomatica oppure sono presenti dei sintomi aspecifici. Quando compaiono sintomi si tratta spesso di un rialzo improvviso della pressione arteriosa che può raggiungere valori anche molto elevati (crisi ipertensiva, encefalopatia ipertensiva). Le crisi ipertensive possono manifestarsi con: mal di testa (cefalea) presente piuttosto al risveglio ed avvertito a livello occipitale, ronzii / fischi alle orecchie (acufeni) o perdite di sangue dal naso (epistassi). In altri casi, i sintomi sono dovuti ad una complicanza della pressione alta sulla funzione di uno specifico organo (chiamati sintomi da “danno di organo”). In questa categoria entrano i sintomi collegati a lesioni del muscolo cardiaco (segni di alterata funzione del ventricolo sinistro o di scompenso cardiaco), a lesioni delle arterie coronarie (angina pectoris, infarto del miocardio) o ad un accidente vascolare cerebrale come l’ictus.
La ricerca di eventuali “danni di organo” dovuti all’ipertensione è possibile oggigiorno, e deve sempre essere eseguita dal medico. I possibili danni a livello cardiaco si identificano con l’aiuto dell’ecocardiogramma, dell’elettrocardiogramma e la prova da sforzo; per i vasi sanguigni disponiamo di indagini come l’ecodoppler carotideo, l’ecodoppler arterioso degli arti inferiori ed il fondo oculare; i reni vengono controllati con esami di laboratorio come il dosaggio della creatinina nel sangue, il calcolo della funzione renale (clearance della creatinina) e la ricerca di microalbuminuria (presenza di albumina nelle urine); i danni cerebrali possono essere valutati con la risonanza magnetica (RM) o l’esame TAC.
Cura
La regola d’oro della terapia dell’ipertensione arteriosa è: la terapia va iniziata prima della comparsa del danno di organo. Nel curare un soggetto iperteso ci preoccuperemo da una parte di ridurre i valori della pressione arteriosa avvicinandoli più possibile a quelli normali e dall’altra parte di correggere i fattori di rischio cardiovascolare.
Come linea di massima si dovrebbe ottenere una pressione < 140/90 mmHg (sistolica / diastolica) ed in alcuni casi anche più bassi. Si deve tentare di portare la pressione arteriosa a valori normali in tutti i soggetti ad alto rischio cardiovascolare, come sono i pazienti affetti da diabete mellito o da disfunzione renale e quelli con pregresso infarto del miocardio o ictus. Nei diabetici ad esempio, la pressione consigliata è < 130/80 mmHg e forse ancora più bassa se ottenibile senza sintomi e/o effetti secondari dei farmaci.
Nella stragrande maggioranza dei casi l’ipertensione, dove necessario, può essere trattata in maniera soddisfacente con la terapia farmacologica. I farmaci antipertensivi maggiormente utilizzati (diuretici, beta-bloccanti, calcio-antagonisti, ACE-inibitori e farmaci bloccanti dei recettori alfa-adrenergici) agevolano l’eliminazione dei liquidi e del sodio accumulati nei tessuti che circondano le arterie, altri impediscono al cuore di pompare con troppa forza, altri ancora dilatano i vasi sanguigni abbassando la pressione al loro interno.
Il trattamento farmacologico deve essere valutato dal medico in base al tipo di paziente, all’età ed in particolar modo alla eventuale contemporanea presenza di altre patologie.
Nella stragrande maggioranza dei casi è difficile ottenere un ottimo risultato con l’uso di un solo farmaco antipertensivo; di solito ci vogliono due, tre ed a volte di più. Il fatto di dovere assumere due o tre farmaci diversi per abbassare la pressione non deve spaventare, ne scoraggiare; importante è avere una pressione arteriosa più vicina possibile ai valori normali !!!
In alcuni casi l’ipertensione “è resistente”, e cioè non risponde (non si abbassa) per niente, o in maniera adeguata, nonostante l’utilizzo di tre farmaci di classi diverse (di cui un diuretico). Alcune delle cause di un
Indipendentemente dal grado di ipertensione (lieve, moderata o severa) la terapia farmacologica va completata dalla correzione dei fattori di rischio cardiovascolare. Per di più, i pazienti ipertesi dovrebbero essere incoraggiati di svolgere una regolare attività fisica moderata che aiuta a controllare meglio i valori pressori. Seguire una dieta alimentare è estremamente importante; “mangiare sano” non è un semplice slogan pubblicitario ma un modo di alimentarsi che non danneggia i nostri organi, che ci aiuta a vivere meglio e più a lungo. In questo senso l’iperteso deve essere consigliato di condire i piatti piuttosto con limone, aceto, pepe, peperoncino o tante altre spezie che abbiamo a disposizione utilizzando meno possibile il sale normale (meno di 6 grammi di sale da cucina al giorno). Quando proprio non se ne può fare a meno, utilizzare piuttosto “il sale medicinale” (cloruro di potassio) che si trova nelle farmacie e nei supermercati. Per la stessa ragione di diminuire l’apporto di sodio, si dovrebbe limitare l’uso dei cibi salati per natura (insaccati, formaggi, affettati o prodotti affumicati). Impariamo anche a guardare il contenuto di sodio dei vari tipi di acqua che compriamo e beviamo; alcuni hanno un altissimo contenuto di sodio (sale)!!! Si consiglia di mangiare (quando possibile) più cereali integrali, verdura fresca, pesce e frutta limitando i grassi di origine animale e quelli pericolosi (acidi grassi polinsaturi) che si trovano nei cibi fritti in oli non adatti. Utilizzare per la frittura un olio “che tiene bene” le alte temperature (come quello di arachidi) e quando si usa come crudo, l’olio extravergine di oliva (meno indicato per la frittura). Il consumo di alcol deve essere moderato (non più di due bicchieri di vino al giorno).
Il paziente iperteso deve mantenere un peso corporeo “ideale” per la sua età e corporatura, deve controllare periodicamente i valori “dei grassi” nel sangue (colesterolo totale, HDL-colesterolo, LDL-colesterolo, trigliceridi) ed i diabetici devono tenere il diabete in equilibrio (controllo periodico della glicemia e dell’emoglobina glicata).