A partire dal 1° gennaio 2025, chi andrà in pensione vedrà una riduzione degli assegni mensili rispetto a chi si è ritirato negli anni precedenti. Questo cambiamento è dovuto alla revisione dei coefficienti di trasformazione approvati lo scorso dicembre dal ministero del Lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Mef, sulla base dell’andamento del pil e della speranza di vita.
Perché le pensioni saranno più basse nel 2025
Il sistema dei coefficienti di trasformazione è stato introdotto nel 1996 con la legge Dini e successivamente modificato dalla riforma Fornero del 2011. Questi coefficienti servono a calcolare l’importo delle pensioni a partire dai contributi accumulati nel corso della vita lavorativa. Poiché l’aspettativa di vita è aumentata, i futuri pensionati riceveranno l’assegno per un periodo più lungo, quindi l’importo mensile deve essere più basso per mantenere la sostenibilità del sistema.
Cifre e esempi concreti
Secondo i calcoli della Cgil, un lavoratore che guadagna circa 30.000 euro lordi alla fine della carriera e va in pensione nel 2025 riceverà una pensione di circa 1.225 euro al mese, rispetto ai 1.250 euro mensili del collega uscito nel 2024. Questo rappresenta una perdita lorda di oltre 25 euro al mese, per un totale di oltre 326 euro all’anno. Nel corso della pensione attesa, si perderanno oltre 5.000 euro.
Impatto sui lavoratori più giovani
Questo meccanismo perverso rischia di impoverire sempre di più i lavoratori più giovani, che hanno versato contributi dopo il 1995. L’impatto è ancor più significativo per chi esce dopo i 67 anni, poiché potrebbe non aver raggiunto i 20 anni di contributi necessari.
Rivalutazione per l’inflazione
Oltre alla riduzione dei coefficienti, ci sarà anche una rivalutazione degli assegni per l’inflazione. Nel 2025, le pensioni saranno rivalutate dell’1,6%, un valore molto più basso rispetto al 5,4% applicato nel 2024. Questo significa che solo le pensioni più basse saranno rivalutate applicando il tasso intero.