L’impulso elettrico nel nostro cuore nasce nelle cellule di un «centro di comando» che si chiama nodo del seno. Da queste cellule, l’elettricità si propaga negli atri ed attraverso un sistema di conduzione interposto tra le cavità atriali ed i ventricoli, la corrente arriva fino alle fibre muscolari del cuore determinando la loro contrazione. Il sistema di conduzione è a sua volta formato da più componenti e tra questi il nodo atrio-ventricolare. Per arrivare nei ventricoli, l’impulso elettrico non trova un’altra via se non quella “obbligatoria” del nodo atrio-ventricolare.
Il blocco atrio-ventricolare è un disturbo della conduzione della corrente elettrica dall’atrio al ventricolo. Il problema può essere banale (come nel caso di un blocco atrio-ventricolare di primo grado) oppure grave (come in quello di un blocco atrio-ventricolare di terzo grado). Minore è il grado del blocco meno probabile è che il paziente sia sintomatico. Nei blocchi di grado più alto (secondo o terzo grado) il paziente può avvertire malessere generale, ipotensione, sintomi di ipoperfusione degli organi (capogiri, sensazione di testa vuota, di annebbiamento della vista, sincope) oppure si può verificare anche la morte improvvisa. Alcuni blocchi di terzo grado si presenta con sintomi e segni di scompenso cardiaco. Non disponiamo di una cura farmacologica per questa malattia e l’unico rimedio è l’impianto di un pacemaker.
Tipi di blocchi atrio-ventricolari
Blocco atrio-ventricolare di primo grado (BAV I) è un allungamento del tempo che la corrente impiega per attraversare il sistema di conduzione del cuore e di raggiungere il muscolo cardiaco.
Blocco atrio-ventricolare di secondo grado (BAV II) è caratterizzato dalla mancata trasmissione di alcuni ma non tutti gli impulsi, dagli atri ai ventricoli. Il paziente potrebbe avvertire in maniera intermittente dei “battiti mancanti” (Figura 1).
Blocco atrio-ventricolare di terzo grado (BAV III) significa un completo ostacolo del passaggio degli impulsi dagli atri ai ventricoli. Si tratta di una situazione molto seria; gli atri funzionano sotto il comando di un centro atriale ed i ventricoli sono guidati da un centro indipendente, molto più lento del primo. A seconda della frequenza di questo centro di comando ventricolare, il paziente sarà più o meno sintomatico. Meno impulsi al minuto riesce a generare il centro, meno battiti al minuto ne saranno indotti e quindi, più sintomatico sarà il paziente. Accade spesso che proprio a causa della bassa frequenza cardiaca il soggetto perde conoscenza e cade a terra. La caduta è pericolosa perché può essere causa di traumi cerebrali o di fratture. In tutti i soggetti (soprattutto anziani) che in assenza di precisi motivi cadono spesso si deve pensare e cercare un eventuale blocco intermittente della conduzione.
Quali sono le cause dei blocchi atrio-ventricolari?
I blocchi atrio-ventricolari possono essere fisiologici, cioè normali in alcune condizioni. Si tratta del blocco atrio-ventricolare di primo grado che si può presentare in alcuni bambini sani o negli atleti che presentano una predominanza del funzionamento del sistema vagale (che rallenta la velocità della conduzione degli impulsi elettrici).
In altri casi possono essere i farmaci assunti (Figura 2) i responsabili di un blocco atrio-ventricolare (digitale, amiodarone, calcio-antagonisti, beta-bloccanti). In altri pazienti si tratta di una malattia degenerativa che coinvolge il sistema di conduzione del cuore. L’ischemia miocardica e l’infarto del miocardio rappresentano un’eziologia molto frequente dei blocchi atrio-ventricolari. A volte, alcuni interventi di cardiochirurgia valvolare possono danneggiare il sistema di conduzione del cuore e dar luogo ad un blocco atrio-ventricolare; si tratta piuttosto di interventi sulla valvola aortica.
Nei soggetti anziani le cause dei blocco atrio-ventricolare sono soprattutto la cardiopatia ischemica e la degenerazione (“l’invecchiamento”) del sistema di conduzione.
Quali sono i sintomi?
Normalmente i blocchi atrio-ventricolari di primo e secondo grado sono asintomatici. Si identificano casualmente attraverso un elettrocardiogramma oppure alla visita medica, in seguito alla percezione dei “battiti mancanti”. Più spesso i sintomi si trovano nei blocchi atrio-ventricolari di terzo grado e sono: astenia, intolleranza agli sforzi fisici, mancanza di fiato sotto sforzo o anche a riposo, sensazione di respirare meglio con la testa alzata su 2-3 cuscini e non completamente all’orizzontale, capogiri e sincope. Solitamente, in questi casi i sintomi sono accompagnati da una frequenza del polso inferiore ai 40 battiti al minuto e possono essere presenti anche segni di scompenso cardiaco come il progressivo ed anomalo aumento del peso corporeo ed il gonfiore delle gambe e dei piedi (edemi).
Quali sono i mezzi terapeutici?
I farmaci di cui disponiamo (atropina ed isoprenalina) sono riservati esclusivamente alle condizioni di emergenza e vengono somministrati per via endovenosa. Non esistono terapie farmacologiche da assumere per via orale ed in modo cronico, in grado di migliorare la conduzione degli impulsi elettrici cardiaci. In alcuni casi, quando il rallentamento della conduzione e quindi il blocco è l’effetto indesiderato di un farmaco, la sua sospensione o l’abbassamento del dosaggio può risolvere il problema.
In molti casi di blocco atrio-ventricolare di secondo grado ed in quasi tutti quelli di terzo grado si impone la necessità di impiantare un pacemaker. Si tratta di piccoli apparecchi inventati circa 60 anni fa che stimolano il cuore nelle situazioni in cui esso non è da solo in grado di generare un numero sufficiente di battiti per consentire una vita normale. Vivere con un pacemaker non è un handicap bensì una modalità di potere condurre una vita completamente normale, senza i rischi che una frequenza cardiaca troppo lenta può rappresentare.