Il cuore di un soggetto sano ha un’attività elettrica e di conseguenza meccanica, a cadenza ritmica, regolare ed adeguata (come frequenza) al tipo di sollecitazione fisica alla quale il suo organismo viene sottoposto in determinati momenti della giornata. Con il ritmo normale chiamato “ritmo sinusale” il cuore ha una giusta efficienza di pompa; le cavità atriali si svuotano nel giusto momento nei ventricoli e questo crea un lavoro “armonioso” tra le cavità atriali e ventricolari. Il tutto conferisce al cuore una giusta efficienza “di pompa”. Nella fibrillazione atriale (conosciuta anche con l’acronimo FA) l’attività elettrica atriale non è più correlata a quella ventricolare (scompare la sincronia atrio-ventricolare) e la frequenza cardiaca non segue più il fabbisogno dell’organismo. Il risultato finale è quello di “una pompa” meno efficiente.
La fibrillazione atriale è la più frequente aritmia cronica. L’aritmia è presente in 1-2% della popolazione generale e si stima che negli Stati Uniti sono affetti attualmente circa 2.2 milioni di persone ed ogni anni si assiste alla comparsa di più o meno 75.000 nuovi cassi. L’impatto sulla spesa pubblica è notevole ed un numero impressionante di persone ne soffre; in Europa ne sono affetti più di 6 milioni di persone.
L’insorgenza è di solito sotto forma di attacchi improvvisi di palpitazioni ad alta frequenza, dalla durata abbastanza breve (FA parossistica). Nel tempo però, nella stragrande maggioranza dei casi l’aritmia tende alla cronicizzazione e cioè, l’aritmia diventa sostenuta (FA permanente). Nelle persone anziane, la fibrillazione atriale è nella maggior parte dei casi “di vecchia data” e molti di loro non sanno nemmeno di essere affetti. In molti pazienti la fibrillazione atriale è asintomatica (FA silente) per brevi periodi oppure per tutta la vita.
Conseguenze
Le cavità atriali vengono elettricamente attivate in maniera disorganizzata e la conseguenza è la perdita della loro contrazione omogenea. Il sangue stagna negli atri e raggiunge i ventricoli solo per l’effetto della semplice “caduta” durante la diastole ventricolare; al contrario di quello che avviene normalmente una parte del sangue non è più “spinta” nel ventricolo dalla contrazione atriale. In questo modo, la quantità di sangue espulsa dai ventricoli con ogni contrazione (sistole) diminuisce, così come anche la quantità eiettata in un minuto (portata cardiaca). Si calcola che la comparsa della fibrillazione atriale determina una caduta fino a 15% della portata cardiaca.
Nei soggetti non trattati, la frequenza ventricolare varia nella maggio parte dei casi tra i 90 ed i 170 battiti/minuto, ma a volte molto di più. Le contrazioni non hanno una cadenza regolare e la quantità di sangue che lascia i ventricoli con ogni contrazione varia da battito a battito; per questa ragione il polso è irregolare e di ampiezza variabile.
Le cause
Si possono distinguere pazienti con fibrillazione atriale “primaria” (cioè senza un’evidente causa) e “secondaria” (conseguenza di alcune malattie e/o condizioni favoreggianti).
La FA primaria. Lo studio di moltissimi pazienti con FA ha permesso di identificare la presenza di alcune condizioni che favoriscono la sua comparsa. Alcune di queste sono: l’età, l’apnea notturna ostruttiva, l’obesità, il diabete mellito e l’insufficienza renale cronica. Circa il 10% degli ottantenni ed il 15% degli ottantacinquenni ne soffrono di fibrillazione atriale. In una persona anziana, la probabilità che la causa di un polso irregolare sia la fibrillazione atriale è quindi molto alta.
Un tipo particolare di fibrillazione atriale è conosciuta con il nome di “FA isolata”. Si tratta di solito di soggetti di età inferiore ai 60 anni, senza malattie cardiovascolari e/o polmonari. L’esame clinico e le indagini strumentali non identificano alcuna alterazione cardiaca o polmonare.
La FA secondaria. Alcune delle malattie frequentemente complicate da fibrillazione atriale sono: infarto del miocardio, pericardite, disfunzione delle valvole (soprattutto della valvola mitrale), miocardite (processo infiammatorio del muscolo ventricolare), cardiomiopatia dilatativa primitiva, ipertensione arteriosa, infezioni acute (influenza, bronchite, polmonite o riacutizzazioni di una malattia polmonare cronica ostruttiva), la disfunzione della tiroide (soprattutto l’ipertiroidismo, quando la ghiandola funziona in eccesso). In altri pazienti la fibrillazione atriale compare nel periodo immediatamente post operatorio, dopo un intervento di chirurgia del cuore (cardiochirurgia) o del polmone. Il consumo eccessivo di alcol o di caffeina sono la causa di alcuni episodi passeggeri di fibrillazione atriale (fibrillazione atriale parossistica). Episodi simili si possono riscontrare anche dopo l’uso di sostanze proibite, come cocaina e anfetamina. Anche alcuni farmaci hanno la capacità di scatenare questa aritmia (effetto proaritmico).
Complicazioni
I soggetti affetti hanno un rischio più alto di sviluppare scompenso cardiaco ed embolie sia nel territorio cerebrale (ictus) che in quello periferico (embolie negli arti o negli organi addominali) e generalmente parlando, questi pazienti presentano un tasso di mortalità più alto rispetto alla popolazione che non presenta questo disturbo del ritmo.
1) Scompenso cardiaco
Nel suo decorso, negli anni, lo scompenso cardiaco si complica spesso di anomalie del ritmo cardiaco ed una delle più frequenti è proprio la fibrillazione atriale. Più di un terzo dei pazienti con scompenso cardiaco (30 – 40%) presenta fibrillazione atriale. La comparsa di questa aritmia riduce ulteriormente la capacità contrattile del ventricolo sinistro con conseguente peggioramento della tolleranza allo sforzo del paziente scompensato.
Inoltre, un atrio “fibrillante” perde la contrazione e questo fatto determina la riduzione del circa 20% – 30% dell’efficienza di pompa del cuore. Si tratta quindi di “un cane che si morde la coda”; da una parte lo scompenso cardiaco si complica di fibrillazione atriale e dall’altra, la fibrillazione atriale peggiora lo scompenso.
L’importante perdita dell’efficienza cardiaca non fa altro che aumentare la sintomatologia del paziente peggiorando principalmente l’affanno e la stanchezza. Per la stessa ragione aumenta la ritenzione di liquidi, quindi il peso corporeo e compare il gonfiore (l’edema) a livello degli arti inferiori.
Accade anche un altro fatto importante; lo scompenso cardiaco e gli accidenti vascolari cerebrali sono collegati tra di loro. La causa principale di morte nel paziente scompensato con fibrillazione atriale è proprio l’ictus embolico (vedi sopra).
2) Embolia
Nella fibrillazione atriale, la perdita della contrazione atriale determina una specie di “ristagno” del sangue nell’atrio. Questo fenomeno, insieme all’ingrandimento delle dimensioni dell’atrio spesso associato, determinano dei presupposti necessari alla formazione di trombi (grumi di sangue) dentro l’atrio stesso o nel suo appendice chiamato auricola sinistra.
Il rischio è quello che un grumo possa staccarsi dall’interno di queste cavità, e seguendo la corrente del sangue, uscendo dal cuore arrivi ad occludere un’arteria. Questo fenomeno si chiama embolia e se avviene in un’arteria del cervello determina un ictus embolico. Se avviene in un’arteria di un arto o di un organo addominale si parla di embolia periferica.
Tenendo presente che le prime arterie che continuano la direzione del sangue che esce dal cuore sono le carotidi, si può capire perché le embolie sono purtroppo principalmente cerebrali. Si stima che per ogni 100 soggetti affetti da fibrillazione atriale, ogni anno, 5 saranno colpiti da ictus; rispetto ai soggetti senza fibrillazione atriale il rischio è 6 volte superiore. Il rischio di embolie è presente indipendentemente dai sintomi; anche i pazienti asintomatici sono esposti ad embolie cerebrali o periferiche.
Due notizie positive possiamo però fornire. La prima è che quando possibile, curando la fibrillazione atriale e recuperando il ritmo sinusale si migliora il quadro clinico dello scompenso. La seconda è che il recupero del ritmo normale migliora anche la prognosi dei pazienti scompensati. Per questi motivi e per tanti altri dobbiamo sempre fare tutto il possibile affinché la fibrillazione atriale sia sconfitta.
Terapia
Nella terapia della fibrillazione atriale si deve sempre tentare di ripristinare il ritmo normale del cuore (ritmo sinusale). A questo proposito abbiamo alcune soluzioni.
La prima è l’uso di farmaci antiaritmici che possono convertire la fibrillazione atriale in ritmo sinusale ed in questo caso parliamo di cardioversione farmacologica. La seconda è la cardioversione elettrica e cioè, il ripristino del ritmo sinusale attraverso una scarica elettrica che viene applicata sul torace del paziente in anestesia generale. Un terzo mezzo di convertire la fibrillazione atriale è l’ablazione trans catetere. Si tratta dell’interruzione del circuito che la corrente segue all’interno del cuore durante la fibrillazione atriale utilizzando delle particolari onde (radiofrequenza). L’esame viene eseguito in anestesia locale, con l’aiuto di tubicini (cateteri) che vengono introdotti nel cuore a partire dall’inguine. Attraverso questi cateteri si eroga l’energia necessaria, che realizzando delle piccole “bruciature” ravvicinate interrompe il percorso della corrente. In questo modo la fibrillazione atriale non trova più ”la sua strada” e non si scatena più. Nella lotta alla fibrillazione atriale, l’ablazione trans catetere ha dimostrato di fornire risultati migliori nel controllo del ritmo rispetto alla terapia con farmaci antiaritmici. Questa metodica si è dimostrata superiore alla terapia medica anche nella terapia della FA parossistica (vedi sopra). In mani esperte, l’ablazione trans catetere della fibrillazione atriale può essere considerata anche come terapia primaria.
Ci sono anche alcune tecniche chirurgiche proposte per interrompere la fibrillazione atriale ma i risultati non sono all’altezza dei metodi precedentemente descritti.
Nei casi in cui non è possibile eliminare l’aritmia, l’attenzione del medico viene orientata verso due aspetti. Il primo è la frequenza cardiaca. Quando la frequenza cardiaca è molto elevata, con l’aiuto di farmaci specifici la si può abbassare in maniera da non rappresentare da una parte un fastidio per il paziente e dall’altra, di non disturbare la funzione di pompa del cuore. Il secondo è il rischio embolico della fibrillazione atriale. In questo senso, i pazienti affetti da questa aritmia devono mantenere il sangue “meno coagulabile”, devono essere quindi scoagulati. La scoagulazione avviene attraverso l’uso di farmaci anticoagulanti per via orale (Sintrom, Coumadin). Recentemente è stato inserito sul mercato europeo, statunitense e canadese un nuovo farmaco anticoagulante. Si tratta del dabigatran il quale, rispetto agli anticoagulanti tradizionali agisce chimicamente con un diverso meccanismo e soprattutto presenta il grande vantaggio di non necessitare di controlli periodici della coagulazione del sangue (controllo dell’INR).
Nei pazienti che presentano controindicazioni all’uso di anticoagulanti è possibile oggi prevenire l’embolia attraverso la chiusura percutanea dell’auricola sinistra. Si tratta di una procedura che isola l’auricola sinistra dall’atrio sinistro attraverso la sua chiusura con “un ombrellino”; il sangue non circola più in questa cavità e quindi nel suo interno non si possono più formare dei trombi.
Un aspetto non indifferente è quello della prevenzione della fibrillazione atriale. In questo senso la prevenzione e/o la cura delle malattie cardiovascolari che possono essere causa di fibrillazione atriale (ipertensione arteriosa, infarto del miocardio, scompenso cardiaco) ed il controllo dei fattori di rischio cardiovascolare (fumo, ipercolesterolemia, obesità, inattività e diabete mellito) sono fondamentali per la prevenzione primaria della fibrillazione atriale (impedire la comparsa dell’aritmia). Nei soggetti che hanno già presentato uno o più episodi di FA, la lotta alle malattie ed ai fattori di rischio sopra elencati è anche l’arma de la prevenzione secondaria (rallentare o arrestare la ricomparsa dell’aritmia).
Nuove terapie con farmaci (ACE inibitori, inibitori dei ricettori dell’angiotensina, antagonisti dell’aldosterone, statine) o sostanze naturali (acidi grassi omega-3) hanno fornito dei dati non ancora certi sul loro ruolo nella prevenzione della fibrillazione atriale.