In Italia sono oltre 1.000.000 le persone affette da demenza, di cui 600.000 quelle colpite da Alzheimer, mentre circa 930.000 sono i pazienti con conseguenze invalidanti dell’Ictus, patologia che ogni anno fa registrare 120.000 nuovi casi.
Sempre nel nostro Paese, il Morbo di Parkinson colpisce circa 200.000 persone, mentre all’Epilessia sono attribuiti 500.000 casi, dei quali almeno un quarto con situazioni particolarmente impegnative. In minoranza, ma con un trend in costante aumento, i 90.000 pazienti, spesso giovanissimi, colpiti da Sclerosi Multipla e quelli con malattie dei nervi o dei muscoli.
Ma la condizione più frequente è quella della cefalea, di cui ha sofferto, almeno una volta nella vita, circa il 90% della popolazione e che richiede, in molti casi, un approccio intensivo e personalizzato, al fine di formulare una diagnosi corretta ed evitare gravi rischi o una severa limitazione delle attività quotidiane.
Questo è lo scenario italiano fotografato dalla Società Italiana di Neurologia (SIN) in occasione della presentazione del 47° Congresso Nazionale (Venezia, 22-25 ottobre 2016) svolta oggi a Milano.
“Le malattie del cervello – afferma il Prof. Leandro Provinciali, Presidente SIN e Direttore della Clinica Neurologica e del Dipartimento di Scienze Neurologiche degli Ospedali Riuniti di Ancona – costituiscono ormai la condizione patologica più diffusa nel mondo occidentale, avendo superato le malattie cardiovascolari e le neoplasie. Trattandosi di malattie in costante aumento, soprattutto a causa dell’invecchiamento della popolazione, appare quanto mai necessario potenziare la risposta assistenziale. Questo sarebbe possibile attraverso una gestione più efficace dell’urgenza, che non deve più essere “generalista”, cioè indifferenziata per qualsiasi evento acuto, ma “dedicata”, ovvero rispondente alle esigenze specifiche della compromissione neurologica. Una declinazione appropriata dell’assistenza del paziente neurologico, sia ospedaliera che territoriale, deve tenere presente le specifiche esigenze correlate sia alle malattie complesse, che richiedono elevata competenza specifica ed approccio interdisciplinare, sia alle condizioni evolutive che necessitano di un trattamento adeguato. È inoltre auspicabile un’estensione delle competenze neurologiche alla fase avanzata delle malattie, evitando la declinazione generalista delle cure palliative, attualmente dedicate in prevalenza alle malattie neoplastiche, cardiache e renali”.
Per quanto riguarda le nuove terapie in fase III nel trattamento della Malattia di Alzheimer, il Prof. Carlo Ferrarese, Direttore Scientifico del Centro di Neuroscienze di Milano dell’Università di Milano-Bicocca, afferma: “Da vari anni è noto che alla base della Malattia di Alzheimer vi è l’accumulo progressivo nel cervello di una proteina, chiamata beta-amiloide, che distrugge le cellule nervose ed il loro collegamenti. Oggi, grazie a strumenti innovativi come la PET (Positron Emission Tomography) o la puntura lombare, che analizza i livelli della proteina nel liquido cerebrospinale, è possibile stabilire il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer prima della comparsa dei deficit cognitivi rendendo quindi fattibile l’avvio di strategie preventive. Tali strategie – continua l’esperto – sono basate su molecole che determinano una riduzione della produzione di beta-amiloide, con farmaci che bloccano gli enzimi che la producono (beta-secretasi) o, in alternativa, anticorpi capaci addirittura di determinare la progressiva scomparsa di beta-amiloide già presente nel tessuto cerebrale. Questi anticorpi consentono in parte di penetrare nel cervello e rimuovere la proteina, in parte di facilitare il suo passaggio dal cervello al sangue con successiva eliminazione. Gli anticorpi sono attualmente in fase avanzata di sperimentazione in tutto il mondo, su migliaia di pazienti nelle fasi iniziali di malattia o addirittura in soggetti sani che hanno la positività dei marcatori biologici (PET o liquorali). La speranza è di modificare il decorso della malattia, prevenendone l’esordio, dato che intervenire con tali molecole nella fase di demenza conclamata si è dimostrato inefficace”.