Battere l’Alzheimer ricominciando dal linguaggio si può. È la terapia che da alcuni anni adottano a Firenze tre centri d’avanguardia nel trattamento delle demenze. Si tratta di un modello di assistenza mutuato dalla Francia, un progetto battezzato Atelier Alzheimer, ideato dagli specialisti Centro Studi Orsa in tandem con AIMA e affidato alla Cooperativa Nomos. “L’Atelier Alzheimer ha una missione del tutto innovativa”, spiega la direttrice Gaia Guidotti, “Si tratta di aiutare i malati a recuperare se stessi: linguaggio, memoria, percezione del corpo, socialità, dunque la propria identità. È un progetto sperimentale, ormai ben rodato, finanziato dalla Regione Toscana in collaborazione con la ASL e coordinato dall’Ambulatorio per i Disturbi Cognitivi”.
Al Congresso nazionale sui Centri Diurni Alzheimer, 10° della serie, che l’Unità di Medicina dell’Invecchiamento dell’Università di Firenze ha in programma a Montecatini Terme l’1 e 2 marzo, Centro Studi Orsa presenterà di Atelier un primo importante bilancio con la relazione della psicologa Elena Poli. Bilancio che, tradotto in numeri, parla di 180 pazienti gestiti prendendo anche in carico 230 famiglie.
Per capire meglio le specifiche del progetto occorre dire che si articola in tre sedi: due a Firenze città, uno a Bagno a Ripoli. Ognuno ospita due volte alla settimana, sempre gratuitamente, un massimo di 15 pazienti. “I quali”, ricorda Guidotti, “benché malati non devono presentare disturbi del comportamento e deficit motori”. Siamo dunque in una dimensione diversa dai Centri Diurni che accolgono anche pazienti ormai seriamente compromessi dalla malattia. L’obiettivo di Atelier Alzheimer, aggiunge la direttrice, “consiste infatti principalmente nel riattivare e mantenere le capacità residue in pazienti affetti da demenza lieve-moderata o da patologie neurologiche derivate da ictus e invecchiamento fisiologico”.
Si tratta del metodo definito ‘stimolazione neurocognitiva’ che riproduce un programma terapeutico, sperimentato con successo in Inghilterra, basato appunto sul recupero di linguaggio, memoria e attenzione, sulla riappropriazione della percezione del proprio corpo e sulla socializzazione all’interno di un gruppo sottraendo i malati all’isolamento. In altre parole, l’obiettivo è di frenare il decadimento grazie all’esercizio e al recupero delle attività fisiche e cerebrali. Cose semplici ma efficaci: curare un piccolo orto, fare la pasta, spremute, mettere in tavola, suonare e cantare insieme, leggere il giornale e anche pet-therapy grazie a due labrador addestrati per le attività di compagnia.
Tutto ciò non senza l’assistenza di personale specializzato, in totale 20 operatori i quali si occupano anche dei famigliari che, come si sa, per lo più stentano ad accettare la malattia e hanno perciò bisogno di sostegno psicologico per gestire al meglio il congiunto e se stessi.
Si tratta comunque di un’attività svolta con profitto ma non senza problemi. Spiega ad esempio la dottoressa Poli: “Proprio a causa delle particolari modalità di Atelier Alzheimer non è stato facile selezionare e addestrare le figure professionali da inserire nel progetto. Una difficoltà dovuta a un mercato delle professioni privo dei profili adeguati ai nostri standard. Dunque abbiamo dovuto investire nella formazione molte risorse ed energie. Le famiglie hanno invece faticato a trovare un servizio di trasporto del malato, non essendo previsto nel finanziamento della Regione. Con tutto ciò si tratta di un’esperienza di straordinario valore con un bilancio fin qui nettamente positivo”.