Lo tsunami non ci travolgerà. La grande ondata di anziani con demenza, paventata fin qui da tutte le previsioni, sembra avere un limite fisiologico nell’età. Oltre gli 80 anni ci si ammala molto meno e a dimostrarlo c’è una serie di recentissimi studi statistici condotti in Gran Bretagna, Stati Uniti e Svezia: la percentuale di ultraottantenni con la malattia si è ridotta.
Alla vigilia del 6° Convegno Nazionale sui Centri Diurni Alzheimer in programma a Pistoia il 15 e 16 maggio, è un ricercatore dell’Università di Firenze, il dottor Enrico Mossello, a comunicare la sorprendente novità anticipando una relazione destinata a incidere non poco sull’attuale scenario di profondo pessimismo e allarme.
Se la popolazione invecchia, ma l’Alzheimer non aumenta, siamo infatti di fronte a una sorta di miracolo imprevisto che, con ogni probabilità, consentirà ai governi di rivedere strategie e bilanci e di tirare un mezzo sospiro di sollievo. Solo mezzo giacché, in ogni caso, la casistica della demenza si conferma elevata, visto l’inarrestabile aumento delle persone in età molto avanzata. Resta il fatto che una volta girata la boa degli 80 anni il rischio di ammalarsi è minore essenzialmente per un motivo: oggi si invecchia meglio, sia nel fisico che in testa.
Spiega il dottor Mossello: “Tante volte negli ultimi anni si è parlato, e a ragione, di un’emergenza Alzheimer, sia in base alle drammatiche conseguenze sui malati e sui loro familiari, sia a causa dell’aumento continuo della popolazione anziana e anche molto anziana. Basti pensare che all’inizio degli anni Novanta gli italiani ultra-ottantenni erano circa 1,7 milioni, mentre 20 anni dopo eccoli raddoppiati a 3,5 milioni”.
Le statistiche ci hanno peraltro ricordato fin qui che oltre gli 80 anni uno su 4 è colpito da qualche forma di demenza, con più frequenza dall’Alzheimer. Ed è proprio sulla base di questi dati che nel mondo si attendeva con terrore lo tsunami, l’onda travolgente dei nuovi casi di malattia.
“Ondata che invece”, riferisce Mossello, “le ultime ricerche smentiscono. L’ondata non c’è stata, almeno negli Stati, in Gran Bretagna e in Svezia. Anzi, gli ultraottantenni con demenza sono diminuiti. E il motivo ricorrente lo troviamo in uno studio danese: i novantenni di oggi sono significativamente più autonomi e meno compromessi dal punto di vista cognitivo rispetto a quelli di 20 anni fa. Il che significa che resta urgente la necessità di trattamenti adeguati per un ampio gruppo di malati, ma anche che non dobbiamo pensare a una crescita inesorabile della casistica”.
Dunque oggi non solo si vive più a lungo, ma si invecchia anche molto meglio per gli stessi identici motivi: per esempio la maggior cura prestata ai fattori di rischio vascolare, in particolare ipertensione arteriosa e diabete, aumentata negli ultimi anni probabilmente portando nelle persone invecchiate in questo ventennio meno danni al cervello rispetto alla generazione precedente.
“Ma ancor più importante”, aggiunge Mossello, “è lo stile di vita: i nostri ottantenni sono più scolarizzati, spesso sono invecchiati facendo attività fisica, con impegni cognitivamente stimolanti e socialmente coinvolgenti. Hanno cioè mantenuto allenato cervello e muscoli, sopportando quindi meglio i colpi del tempo che passa. Se ne deduce che, in attesa di una cura della malattia, è davvero possibile resistergli irrobustendo gambe e cervello. Uno stile di vita fisicamente, socialmente e mentalmente attivo, oltre alla cura dei fattori di rischio, resta la chiave per respingere la minaccia dell’Alzheimer”.