Il termine Caregiver indica chi, a livello familiare o professionale, presta assistenza ad un malato.
Il supporto da parte dei familiari che si prendono cura dei malati di demenza è considerato fondamentale in tutte le civiltà del mondo, ed è la chiave necessaria per il proseguimento delle cure all’interno delle comunità, in un’ottica in cui un’assistenza comunitaria è un valido riconoscimento del diritto delle persone con demenza a vivere più indipendentemente possibile in un ambiente familiare come la propria casa. Ma spesso l’assistenza del paziente unicamente nel contesto familiare non è possibile o non è sostenibile. Sono molti i fattori che influenzano il benessere dei caregivers e la relazione emotivo-affettiva tra il malato e la sua famiglia è il principale fattore determinante per la possibilità di mantenere l’assistenza del malato all’interno dell’ambiente domestico.
La presenza di sintomi comportamentali e psicologici della demenza (BPSD), e l’onere che essi creano per il caregiver familiare, sono fattori chiave che spesso fanno precipitare le situazioni domestiche e possono far propendere per un passaggio dalla domiciliarità ad una casa di cura o ad altre forme di strutture residenziali.
Fortunatamente i caregivers non sono completamente impotenti di fronte ai sintomi comportamentali e psicologici della demenza e le strategie comportamentali dimostrano una certa efficacia sia clinicamente che empiricamente nel ridurre l’onere di carico.
COS’È IL CARICO DEL CAREGIVER?
Per definire il “carico del caregiver” più chiaramente alcuni ricercatori utilizzano concetti di peso oggettivo e soggettivo: Il Peso Oggettivo si riferisce ai problemi pratici connessi con le cure di base come l’assistenza infermieristica continua; il Peso Soggettivo invece si riferisce alla reazione emotiva del Caregiver (ad esempio riduzione del tono dell’umore, ansia e depressione).
È risaputo che i disturbi comportamentali incidono sullo stress e sul carico del Caregiver più delle disfunzioni cognitive, della dipendenza fisica o della compromissione funzionale. I disturbi comportamentali dell’assistito includono: agitazione, aggressione fisica, scontri di personalità (ad esempio discussioni tra pazienti e familiari), vagabondaggio, depressione, resistenza durante l’esecuzione delle attività della vita quotidiana (vestirsi, lavarsi, andare in bagno, mangiare), la sospettosità e le accuse ed infine il non dormire la notte. Tutti questi sintomi sono riconosciuti come i più gravosi da sopportare per il familiare che presta assistenza al proprio malato e sono tra le cause più comuni dell’istituzionalizzazione precoce. Tuttavia il peso associato a tali disturbi può essere diverso per ogni sintomo.
Ad esempio sintomi quali agitazione, aggressività, irritabilità e labilità sembrano essere quelli causano più difficoltà nei caregivers, anche in caso di frequenza e gravità basse. C’è da dire che sebbene i disturbi comportamentali stessi sono chiaramente i maggiori contribuenti a carico del caregiver, la reazione individuale di ognuno è ugualmente importante. I caregivers infatti, sia formali che familiari, differiscono nelle loro risposte ai problemi che si presentano e variano nelle competenze per la loro gestione; non tutti gli operatori sanitari ad esempio valutano allo stesso modo gli stessi sintomi su una scala di fastidiosità.
Alcune caratteristiche del Caregiver che sono predittive di maggiore o minore sensazione di carico ad esempio: nel caso del caregiver familiare convivente che ha solitamente un onere di carico maggiore rispetto ai caregiver formali; nel caso di coniugi si percepisce un onere maggiore rispetto ad altri parenti; le donne sperimentano un carico maggiore rispetto agli uomini; le persone anziane sperimentano un carico maggiore rispetto a quelle più giovani. Anche la vicinanza diventa fattore di stress, così come meccanismi di adattamento di tipo immaturo, oppure scarso sostegno di familiari amici.
A tutto questo si può aggiungere anche la poca conoscenza della demenza, dei suoi sintomi e della loro gestione, la scarsa qualità della relazione premorbosa con la persona malata e alti livelli di emozioni negative espresse, in particolare ostilità e criticità. Al contrario sembrano essere fattori protettivi per il caregiver i supporti informali, come ad esempio una famiglia premurosa, amici, vicini di casa; la conoscenza della demenza, dei sintomi e della loro gestione; stile di fronteggiamento maturo ed adeguato. Un valido aiuto lo si ottiene dal far parte di gruppi di sostegno come ad esempio Associazione Alzheimer.
Ancora una volta abbiamo la dimostrazione che una famiglia unita e una rete di relazioni solide può fare la differenza nell’esperienza che vive “chi si prende cura di chi si prende cura”.