Il progressivo aumento dell’aspettativa di vita e della quota di over 65 è uno dei fattori principali che determina e determinerà sempre più lo scenario socio-economico. Chi esce dal ciclo produttivo costituisce una fascia sempre più ampia di popolazione dotata di disponibilità di risorse e di tempo, alla ricerca di salute e benessere, con importanti aspettative rispetto alla qualità e al livello dei servizi. Nel contempo, la crescita delle malattie croniche e delle comorbilità, se non adeguatamente affrontato e gestito, si traduce in un aumento degli accessi alle strutture sanitarie e di richiesta di capacità cliniche e assistenziali. In aggiunta, un terzo fattore – l’innovazione farmacologica e tecnologica – tende a mostrare un impatto sempre maggiore anno dopo anno.
Per la sanità, dunque, è tempo di fronteggiare una sfida tra crescita del numero, della complessità e del livello delle prestazioni da erogare, con conseguente aumento della spesa da finanziare, e richiesta di assistenza e servizi di sempre maggiore qualità. In altre parole, la sfida è: come garantire qualità e sostenibilità del sistema sanitario.
“Paradigma di questa sfida può essere considerata la chirurgia, disciplina sempre all’avanguardia dell’innovazione, con un occhio rivolto alla messa a punto di tecniche e strategie d’intervento sempre più sofisticate, si pensi ad esempio all’impiego via via più diffuso dei robot, e che abbiano un impatto meno invasivo per il paziente, da cui il consolidamento delle procedure minimamente invasive con i loro evidenti vantaggi”, sottolinea Diego Piazza, Presidente di Acoi-Associazione chirurghi ospedalieri italiani.
Questi temi sono al centro del 36esimo Congresso nazionale Acoi, in corso a Montesilvano (Pescara), dal titolo ‘La forza dell’unità: sostenibilità, evoluzione tecnologica e ruolo della Società scientifica’. L’obiettivo del Congresso – spiega Piazza – “consiste primariamente nell’offrire un percorso di aggiornamento professionale, nell’ambito della chirurgia mininvasiva e delle nuove tecnologie. Oggi, la società scientifica, tanto la nostra quanto la Società italiana di chirurgia (Sic), vuole anche essere un interlocutore credibile nell’affrontare il tema della tutela del chirurgo e della sua professione, così come la gestione della comunicazione tra chirurgo e paziente, della sicurezza in sala operatoria e della responsabilità medica nell’uso dei nuovi device.” Un interlocutore, secondo Piazza, che sia “motore della produzione di qualità in sanità”, obiettivo quest’ultimo dichiarato delle istituzioni, come il Ministero della salute, impegnate a garantire qualità nei processi di cura attraverso la formazione dei professionisti, con la finalizzazione di percorsi strutturati di accreditamento, cui “Acoi contribuisce attivamente”.
Un esempio specifico viene dal programma Op2IMISE (Open To Innovative Minimally Invasive Surgery Experience), sviluppato nel contesto dell’approccio mininvasivo per la chirurgia colorettale e presentato nella sessione “La qualità in sanità”, realizzata grazie al contributo non condizionante di Medtronic Italia, che supporta questo progetto promosso da Acoi, Sic e Università Bicocca di Milano. “L’approccio mininvasivo o laparoscopico – dice Pierluigi Marini, Direttore Uoc Chirurgia 1 all’ospedale San Camillo di Roma – consente da un lato un impatto meno cruento sul paziente, con evidenti benefici per la qualità del suo recupero postoperatorio, dall’altro vantaggi organizzativi ed economici soprattutto legati alla minore ospedalizzazione, con la possibilità di liberare risorse e con minori costi per il sistema sanitario.”
In Italia, il ricorso a queste tecniche è ancora poco frequente. Secondo il Programma nazionale esiti (PNE) dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), l’impiego della laparoscopia nell’intervento al colon avviene nel 32 per cento dei casi e in quello al retto nel 40 per cento, “va considerato, tuttavia, che il dato nazionale potrebbe essere ottimistico, poiché una procedura iniziata con tecnica laparoscopica potrebbe subire una conversione in chirurgia tradizionale, nel corso stesso dell’intervento”, suggerisce Marini.
Il progetto Op2IMISE “può essere considerato un’esperienza pilota volta a promuovere una corretta formazione del chirurgo all’utilizzo delle tecniche mininvasive rispetto a quelle tradizionali – dice ancora Marini. – Il fine ultimo è quello di elaborare, grazie anche all’individuazione di indicatori di performance specifici, una serie di raccomandazioni, alla cui stesura stiamo lavorando con altri 15 valenti colleghi, per favorire la diffusione di queste procedure, dimostrando che, oltre alle già note e positive evidenze cliniche, ne esistono anche di altrettanto significative sotto il punto di vista dell’economia sanitaria.” Un’analoga esperienza condotta in Gran Bretagna sotto l’egida del NICE (National Institute for Clinical Excellence) ha fatto sì che tra il 2006 e il 2010 il numero di interventi al colon-retto condotti in laparoscopia passasse dal 5 al 33 per cento, con un incremento di oltre 5 volte.
“Si tratta di un progetto di grande spessore che produrrà benefici per i chirurghi tanto quanto per i pazienti – conclude Piazza -. Stiamo parlando di pratiche chirurgiche che portano un beneficio evidente all’individuo, migliorando l’intero decorso postoperatorio, e grandi vantaggi per il sistema. Purtroppo, ad oggi, non si è assistito a una politica sanitaria in grado di favorire l’adozione di procedure mininvasive, soprattutto, ma non solo, nel segmento colorettale. È naturale, quindi, che una volta fatta la nostra parte, la palla debba passare ai decisori politici, che auspichiamo vogliano fare la loro.”