Ormai quotidianamente si registrano proposte e prese di posizione che, luce delle recenti esperienze legate alla pandemia da COVID-19, sottolineano l’assoluta indispensabilità di addivenire ad una programmazione sanitaria e socio-sanitaria capace di costituire una rete coordinata e integrata tra le diverse strutture e attività presenti sul territorio.
Da una parte, i promotori della Campagna “Primary Health Care: Now or Never” constatando che “La crisi sanitaria e sociale determinata dall’emergenza COVID-19 ha messo in luce la totale assenza di governance e coordinamento dei diversi attori territoriali. Inoltre, i sistemi informatici desueti e frammentati non sono stati capaci di garantire una comunicazione efficace, sia interna al territorio che fra territorio e ospedale.
È evidente che per rispondere a bisogni di cura sempre più complessi sia necessario, e più efficace, adottare un approccio socio-sanitario integrato, coordinato e comprehensive. Esempi virtuosi di integrazione e possibili soluzioni si trovano sia nel panorama internazionale sia nazionale: realtà in cui l’organizzazione del servizio sanitario è fortemente basata sui principi della Comprehensive Primary Health Care e dove le equipe multidisciplinari di assistenza primaria hanno un forte legame con un territorio specifico (assistenza geolocalizzata) e con la comunità. (…)
Questi concetti e ideali sono i principi fondamentali della Campagna “2018 Primary Health Care: Now or Never”, di cui siamo promotori. Ci uniamo al coro dei 60 operatori sanitari territoriali prevalentemente Lombardi e alla Lettera aperta al Ministro della Salute del Prof. Maciocco, nel chiedere al Ministero della Salute e al Parlamento Italiano un deciso cambio di rotta, verso lo sviluppo di un SSN centrato sulla Comprehensive Primary Health Care. (“LE BASI CULTURALI PER UNA RIORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI TERRITORIALI DEL SSN: dall’Assistenza Sanitaria di Base alla Primary Health Care di tipo Comprehensive” in Quotidiano Sanità il 6 Maggio 2020]).
Dall’altra, come riporta il 16 settembre 2020 il quotidiano on-line di informazione sanitaria “quotidianosanità.it”, la Regione Lombardia ha votato “a maggioranza una risoluzione sulla Fase 2 che impegna la Giunta e il presidente Fontana ad attivarsi con il Governo per fare in modo che i medici di medicina generale e pediatri diventino “a tutti gli effetti dipendenti del sistema sanitario regionale” che ha scatenato polemiche ed una dura presa di posizione della Fimmg (maggior sindacato dei MMG) per il quale: “È la fine della libertà di scelta del cittadino” .
Ancora, il Piano Nazionale della Prevenzione 2020-2025, approvato dalla conferenza Stato-Regioni il 06 agosto 2020, richiamando la necessità di disporre di sistemi flessibili in grado di rispondere con tempestività ai bisogni della popolazione, indica che
“per la realizzazione di processi appropriati di prevenzione e promozione della salute è necessario attuare interventi multiprofessionali anche con il coinvolgimento di figure di prossimità, come ad esempio l’infermiere di famiglia e di comunità, ovvero professionisti che abbiano come setting privilegiati gli ambienti di vita della persona e che agiscano in modo proattivo, in rete con tutti i servizi socio-sanitari e gli attori sociali del territorio per l’utenza portatrice di bisogni sanitari e sociali inscindibilmente legati tra loro”.
Insomma, come accennato nel nostro precedente intervento, da più parti viene la richiesta di modifica dei modelli organizzativi dei servizi socio-sanitari, magari anche con proposte più “spettacolari” che attente alla realtà delle cose. Noi abbiamo già indicato i percorsi da intraprendere per addivenire ai necessari cambiamenti interne ed esterni alle strutture socio-sanitarie per anziani e disabili.
La base di tale rinnovamento non può che vedere l’inserimento, a pieno titolo, di queste strutture nella rete dei servizi, basato su nuovi “livelli-rapporti” d’integrazione con i servizi sociali, le strutture sanitarie, gli ospedali e le istituzioni del territorio. Un ruolo non subalterno e, magari, non solo “strumentalmente funzionale” alle necessità di liberazione dei posti letto ospedalieri.
Tradurre in pratica alcuni precetti (oramai neanche più tanto nuovi – Vedi i principi della Primary Health Care (PHC) – definiti dall’OMS nel 1978 durante la Conferenza di Alma-Ata e successive integrazioni.) che mirano ad una concreta collaborazione interdisciplinare, interprofessionale e intersettoriale in una logica di integrazione istituzionale, gestionale ed operativa che sappia unificare-integrare-coordinare informazioni, processi, formazione del personale e buone prassi. Occorre, assolutamente, un repentino cambiamento dell’attuale paradigma, basato su di un approccio focalizzato unicamente sulla patologia, per andare verso uno più ampio, centrato sulla salute delle persone e orientato alle comunità.
Il momento che stiamo vivendo, con l’emergenza legata alla pandemia, rende “solamente” più urgente la necessità di nuove strategie che non si limitino all’erogazione di servizi finalizzati solo alla presa in carico delle patologie, ma che sia in grado di incidere anche sui determinanti di salute delle persone e della comunità in cui vivono. Ciò sarà possibile solamente se si lavorerà insieme con un forte legame con un territorio ed adottando modalità multidisciplinari e multisettoriali improntate alla prevenzione ed alla promozione della salute. Per fare ciò serviranno anche nuovi investimenti strumentali e di risorse umane che né gli enti gestori né le famiglie, da soli, saranno in grado di sostenere.
Riteniamo che la progettazione per l’utilizzo delle risorse messe a disposizione dall’Europa con il recovery fund non possa prescindere dal farsi carico di una necessità tanto impellente quanto necessaria. Le Istituzioni Locali e le Regioni, in un’ottica concordata ed unitaria, dovrebbero essere i promotori di una simile iniziativa che, tra l’altro, potrebbe concorrere finalmente all’attuazione di livelli di assistenza socio-sanitari, magari opportunamente rivisti in una logica di equità ed unitarietà nazionale.